Il fenomeno dell’immigrazione è in atto da millenni, intere popolazioni, o sotto la pressione delle conseguenze delle guerre, o delle pestilenze o della scarsità di cibo, hanno percorso a volte migliaia di chilometri insediandosi in terre lontanissime dal paese d’origine. Si può constatare, ad esempio, che in Europa esistono due popolazioni, gli ungheresi e i finlandesi, accomunati da una base linguistica comune, definita Ugrofinnica, che per struttura linguistica e lessico non ha nulla a che vedere con alcuna delle lingue dell’Europa, definita familiarmente come l’area geografica “dall’Atlantico agli Urali”.
Altra considerazione è che le popolazioni che si spostano in toto mantengono una propria organizzazione interna, propri ricordi, propri credi religiosi e proprie leggi, perciò, troppo spesso attraverso guerre, occupano un territorio e proclamano l’esistenza di un nuovo Stato.
Diverso è il caso in cui i flussi migratori sono di gruppi non estesi, suddivisi nel tempo e nello spazio e se anche provengono dalle stesse aree geografiche sono gruppi senza alcun contatto tra di loro. Ad esempio tra un tibetano e un indiano che vivono sullo stesso meridiano in India, ma uno al di sopra e l’altro al di sotto dell’equatore, c’è una distanza storica, di usi e costumi e di lingua più lontani della distanza che corre tra un norvegese e un italiano.
Tutto quanto ora scritto appare ovvio nella formulazione, ma quando si passa alla realtà ci si accorge che la popolazione in cui arrivano gli immigrati, essendo formata in stragrande maggioranza da donne e uomini di cultura “media”, senza attribuire alcun significato deteriore a questa accezione, ha una reazione spesso di fastidio, in casi estremi di netto rigetto verso gli immigrati.
Nel mondo occidentale un elevato numero di meritorie associazioni si occupano non soltanto di assistere gli immigrati e di procurare meccanismi di inserimento, ma anche di spiegare alle popolazioni autoctone, le ragioni effettive dell’emigrazione.
Una particolare difficoltà si incontra infatti nell’inserimento dei bambini nelle strutture scolastiche perché il bambino ad esempio, italiano da generazioni, non capisce perché il vicino di banco abbia la pelle scura o diversa da lui, essendo sano, mentre lui, se la sua pelle cambia colore è malato.
E’ dunque importante un libro come questo, scritto appassionatamente da un’insegnante che vive queste difficoltà in ogni ora di scuola, e nei contatti con le famiglie immigrate, è fondamentale che tale testo veda la luce e contribuisca non solo al dibattito culturale, ma allo sviluppo della società, che è da millenni caratterizzata dal crogiolo di lingue, tradizioni culturali e religiose differenti.
Differente, però, non deve essere contrapposto!
Si tratta, dunque, di unire senza separare, distinguere le singolarità senza annullarle, né confonderle: questa è la vera sfida che ci troviamo a fronteggiare responsabilmente come cittadini e come educatori della futura società.
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